Il Trincerone dello Zugna

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So che il titolo di questo blog è Carso&Trincee. Il titolo del blog è eloquente, come eloquente è il fatto che il Trincerone dello Zugna si trova in Trentino Alto Adige. Ed allora vi chiederete , aldilà del fatto che sempre di Grande Guerra si tratta, che cosa centrano le due cose? Niente!
Però vorrei segnalare una discussione molto interessante che è iniziata sul noto sito cimeetrincee riguardo al ricostruzione storica di tale Trincerone. io non ho mai visitato questo luogo, pertanto non darò giudizi ne prenderò posizione, però sembra che la ricostruzione in corso sia tutto tranne che storica.

In questo momento le "maggiori" associazioni storiche stanno valutando il da farsi. Bisogna capire innanzi tutto se tali opere sono da considerarsi nel pieno della legalità oppure no.
La legge in merito dice questo:

Legge 78 7 marzo 2001, Art.1,5:
Gli interventi di alterazione delle caratteristiche materiali e storiche delle cose di cui al comma 2 sono vietate.


Questo invece è il progetto :

Monte Zugna: Progetto pilota di censimento delle opere campali

Il progetto si è proposto di rilevare sistematicamente quanto resta della fortificazione campale predisposta sul monte Zugna dagli eserciti italiano e austro-ungarico nel corso della Grande Guerra.
L'area geografica dello Zugna è stata presa a campione in quanto ospita una tipologia completa di manufatti - maggiori e minori – di tale fortificazione. Lo studio ha affrontato gli aspetti metodologici del rilevamento, con la costruzione di un sistema di schede di censimento, cui sono seguite le attività di rilevazione vere e proprie. Una volta completato il lavoro in quest’area campione, si prevede che l’indagine si estenda ad altre zone del Trentino in modo da poter disporre entro un tempo ragionevole delle conoscenze necessarie a programmi di conservazione, restauro e valorizzazione del patrimonio storico della Grande Guerra.


Noi continueremo a seguire il caso è vi terremo informati.

I Bombardamenti Italiani

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Oggi voglio fare un post leggermente diverso dal solito. il mio intento è di analizzare uno degli aspetti più spaventosi della Prima Guerra Mondiale: subire i bombardamenti da parte dell'artiglieria nemica. Per farlo vorrei proporre un passaggio che ho letto sul libro "L'inferno di pietra" scritto da Wilhelm Czermak. Su questo libro viene citata una parte del diario del cadetto Josef Brüll, la quale con estremo realismo riesce a farci capire come doveva essere trovarsi sotto il fuoco dell'artiglieria è più precisamente sotto i duri colpi delle granate da 280mm italiane.
"Alle ore 14.00 gli italiani avevano iniziato a tirare con un pezzo di calibro veramente grosso ed in poco tempo avevano distrutto completamente la linea di quota. Alle 16.00 ci arrivò addosso il resto; la prima granata esplose a circa 10 metri davanti al nostro riparo. Era arrivata ululando e con la sua esplosione ci aveva quasi intontiti nonchè ricoperti da una pioggia di sassi. Ma che caso fortunato! Nessuno dei miei uomini ne fu seriamente ferito. Avevamo appena tirato il fiato che arrivò la seconda, centrando la roccia subito dietro la nostra postazione, quella dopo finì a sinistra, poi un'altra subito dietro a noi. Prima ancora che fosse possibile prendere una decisione sotto quella grandine ininterrotta di granate e schrapnell, arrivava il colpo successivo........Un colpo in pieno sulla 2a e sulla 3a squadra del mio plotone, presso le quali mi trovavo anch'io, ebbe effetti anche sul vicino plotone di Hullanz. Tutti furono scaraventati a terra, un fumo soffocante riempie le gole. Pietre, uomini, zaini, fucili turbinarono nell'aria e si abbatterono a terra con un frastuono inverosimile. 10 uomini pochi istanti prima ancora volenterosi combattenti, desiderosi di battersi, erano ora masse informi di carne"




Gli Imperiali avevano avuto modo, garzie anche al tentennamento italiano iniziale, di studiare a tavolino un sistema difensivo efficace, che si fondesse in un tutt'uno con il territorio carsico, in modo tale da avere sempre il vantaggio dell'altezza sull'avversario attaccante, ma non solo, di avere anche l'opportunità di potersi difendere con ordine nonostante la grande differenza di uomini e di armamenti in campo. Fu così che nacque il sistema difensivo Austro-Ungarico basato sostanzialmente su tre linee difensive principali, che a partire da quella più vicina a quella avversaria veniva numerata con numeri ordinali 1, 2, 3 ecc. Ogni linea difensiva principale comprendeva altre tre "linee" secondarie parallele, le quali erano contraddistinte, a partire da quella più vicina a quella italiana, oltre che dal numero da una lettera a, b e c. Si formavano così ad esempio le linee 1a, 1b, 1c, per il primo sistema, 2a, 2b, 2c per il secondo sistema e così via. Come abbiamo appena visto, la Linea denominata "a" era sostanzialmente la prima linea, quella cioè a più diretto contatto con le linee nemice. La linea denominata "b" correva parallelamente alla linea "a" a una distanza che poteva variare a seconda del territorio tra i 50 e i 200 metri. Era chimata comunenmente dagli Austriaci "Hundertmeterline" o "Linea dei cento metri". non sempre presentavaun andamento continuo a ridosso della linea "a" ma si sviluppava in quei settori del fronte dove più necessitava una trincea di immediato rincalzo, in special modo a protezione dei capisaldi. Lungo la linea "b" venivano scavate numerose caverne dove trovavano rifugio, in caso di bombardamento, le truppe di presidio alla linea "a". La linea denominata "c" correva parallela alle altre due ma ad una distanza notevolmente maggiore, che a seconda delle caratteristiche del terreno e dei punti strategici favorevoli all'osservazione e alla difesa, poteva variare da poche centinaia di metri fino a qualche chilometro. Era chiamata dagli Austriaci "Reservestellung" o "Linee delle riserve" ed era la linea dove si doveva concentrare la massima resistenza nel caso di perdita delle altre due antistanti. La perdita di quest'ultima avrebbe significato il ripiegamento sul sistema sucessivo con il conseguente arretramento della linea del fronte e l'abbandono di molto terreno e materiale bellico in mano al nemico. C'erano infine delle trincee che collegavano tra loro le varie linee di un sistema o addirittura univano la linea "c" del sistema antistante con la linea "a" di quello sucessivo. Gli Austriaci la chiamavano "Riegelstellungen" o "Linea di sbarramento" e prendevano il nome delle località che univano. Erano in pratica delle trincee che però si trasformavano in micidiali posizioni dalle quali gli ataccanti avrebbero subito il fuoco d'infilata nel caso di uno sfondamento delle prime linee di un tratto del sistema difensivo. Si formavano così delle sacche nelle quali il nemico veniva imbottigliato e bloccato: le linee perse venivano poi riconquistate con il contrattacco. Ecco spiegato il motivo per il quale nell'arco di tutti i 29 mesi di battaglia sulle alture carsiche, le trincee nemiche venivano conquistate e poi riperse, per essere poi riconquistate e nuovamete perse.
Per maggiori informazioni su questa tematica è caldamente consigliato il libro scritto da Enrico Cernigoi "I tracciati delle trincee della Grande Guerra: La conquista del Carso di comeno" dove il sistema difensivo Austro-Ungarico viene perfettamente spiegato e da dove ho preso spunto per la stesura di questo articolo.

I ricoveri e le doline carsiche

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Nel post precedente abbiamo visto l'importanza delle quote, anche mediocri, nel deserto di pietra chiamato carso. Ma oltre a queste, vi è un'altra formazione tipica di questi luoghi: le doline. Le doline sono delle vere e proprie conche chiuse, una sorta di bacino che si riempirebbe d'acqua se solo le sue pareti fossero impermeabili, invece di solito l'acqua viene assorbita attraverso vie sotterranee, che però solo di rado si aprono in superficie con cavità ben rilevabili o acessibili all'uomo. Dal canto loro le doline, hanno avuto una funzione importantissima nel corso dei 29 mesi di guerra sul carso, hanno offerto refrigerio d'estate ed un pò di riparo dalla forte Bora d'inverno. Ed è proprio nelle doline che generalmente venivano posizionati i ricoveri ed i rifugi per i soldati impegnati in prima linea. Gli Austriaci sapevano bene che rimanere in trincea sotto il fitto bombardamento degli avversari, che a volte durava per giorni, sarebbe significato morte certa. Sostanzialmente venivano scavate, sulla parete della dolina, delle caverna a forma di "L" o a "U", di lunghezza variabile, mentre la larghezza e l'altezza erano standard: 1,80 per 1,90 m.


Spesso queste Doline ricevevano il nome di chi le abitava e venivano ornate da delle targhe che ancora oggi sono visibili. Infatti è ancora possibilie ritrovare targhe di vario genere, con i nomi del reggimento e di chi vi prestò servizio. Man mano che l'esercito italiano avanzava attraverso il terreno, le doline, precedentemente usate dagli Imperiali, venivano a loro volta riutilizzate personalizzandole e cambiandone il nome e rifatte le targhe. Oggi sul carso, sopratutto quello di Comeno(Komen, Slovenia oggi),si possono trovare doline che hanno conservato i nomi di allora, tra queste ci sono: La Dolina Siena, la Novara, La Avellino ecc..Per la maggior parte sono nomi italiani, ma ve ne sono altre che conservano ancora il nome degli inservienti e dei battaglioni austriaci.


Oggi grazie al grandissimo lavoro svolto da molte associazioni del luogo, è nato un sito internet che sta catalogando tutte le scritte che ancora oggi sono visibili e da dove sono state prese le foto inserite in questo blog. Il sito è Pro Hereditate

Le quote del carso

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Spesso e volentieri, quando si leggono libri o articoli inerenti alla grande guerra, capita di leggere di battaglia molto sanguinose per la conquista di alture carsiche. La cosa che più fa riflettere però è l'altezza di queste alture.
Viene da chiedersi come mai quota 12 ad esempio possa offrire un vantaggio, infondo sono solo 12 metri sul livello del mare. Bisogna capire però che all'epoca, il carso era un grande deserto di pietra. non vi erano alberi, non vi erano che pochi bassi cespugli, non vi era acqua (almeno in superficie), ma soltatnto una lunga distesa di tipiche pietre bianche calcaree.

Da questa immagine, si intuisce quasi subito quanta importanza potesse avere, in un territorio come questo, essere più in alto dell'avversario. Fu proprio su questo che si basò la difesa dell'esercito imperiale. Sfruttare il più possibile il territorio per riempire il gap che vi era tra chi difendeva e chi attaccava.
Lo sapevano bene gli austriaci, che avevano meno della metà degli uomoni a disposizione degli italiani, i quali a loro volta, non avevano la ben che minima conoscenza di tale territorio. La poca lungimiranza dei comandanti italiani poi ha fatto il resto. Fu così che per 29 lunghi mesi il carso divenne il centro del mondo, ingoiando un numero altissimo di vittime e diventando per chi vi doveva andare l'Inferno di pietra.